Ph. ©fotoarchitetto/RiGymnasium, ©S. Anzini
L’ALLESTIMENTO:
REINVENTING FORTE BATTERIA SIACCI
L’allestimento de La Biennale dello Stretto non è semplicemente un progetto per accogliere oggetti d’arte e di architettura, ma la re-invenzione di un luogo.
Un intervento effimero, ma potente che riattribuisce a Forte Batteria Siacci significato, identità e dignità permanente.
Poche azioni per metterlo in scena, farlo conoscere attraverso la condivisione di pensieri, idee e sentimenti e porre le basi per il suo ritorno in vita, affinché dopo questa Biennale possano esserci cento, mille altre occasioni.
La sabbia che ricopre il pavimento della “navata d’ingresso” compensa i dislivelli del rivestimento in pietra, originale del 1888, anno in cui venne completata la costruzione del Forte, e crea un invito a condividere lo spazio.
L’imponente corridoio assume quasi la dimensione di un bacino di carenaggio, concentrando il fuoco su una prospettiva unica, quella della riflessione e del confronto (il palco per i talk), prima di disperdersi nelle stanze destinate alla mostra dei progetti raccolti attraverso la Call to Action internazionale, la Challenge ti Action rivolta agli architetti under 35 – e alle opere degli artisti.
Forte Batteria Siacci diventa una spontanea promenade nel tempo. Attraverso lo spazio trasformato, assume una monumentalità laica: la sua nuova dimensione si celebra attraverso la funzione civica.
Se è vero che i luoghi esistono grazie alle persone che li abitano, allora Forte Batteria Siacci sarà ricordato anche per la Biennale dello Stretto e per le persone che l’hanno animato perché ora è questa la sua memoria.
LE INSTALLAZIONI ARTISTICHE IN BIENNALE
L’arte è stata grande protagonista alla Biennale dello Stretto.
In corso fino a dicembre, la mostra di arte, architettura e fotografia al Forte Batteria Siacci, a Campo Calabro, è aperta nei fine settimana, e il giovedì mattina per i gruppi organizzati e per le scuole.
La Biennale dello Stretto, ideata da Alfonso Femia e curata da Francesca Moraci e Alfonso Femia è aperta dal 30 settembre scorso.
Promosso dall’Ordine degli Architetti di Reggio Calabria, dalle Città metropolitane di Reggio Calabria e di Messina e in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Messina, l’evento ha registrato uno straordinario successo grazie alla eterogeneità culturale, alla ricchezza di spunti degli interventi e agli ospiti internazionali che si sono avvicendati nelle prime cinque giornate di talk, fino al 4 ottobre scorso.
Fortissima la relazione tra l’arte e il luogo: il Forte reinventato offre, nelle singole stanze, una dimensione intima nella quale si gioca il rapporto tra l’artista e l’opera e tra l’opera e il pubblico.
In questo spazio rigenerato gli artisti hanno messo in scena il tema della Biennale, le tre linee d’acqua: lo straordinario scenario del Forte offre l’opportunità di indagare l’equilibrio antropico e naturale. L’acqua è materia, paesaggio ed esplorazione insieme
Angela Pellicanò di Techne Contemporary Art, ha affermato “Gli artisti strettesi soffrono di una scarsa esposizione nazionale e internazionale, nonostante la loro straordinaria potenzialità, legata anche alle peculiarità dei luoghi. La Biennale dello Stretto si ancora fisicamente a questo territorio, ma traguarda i confini verso orizzonti internazionali. Lo stesso tema dell’acqua rappresenta l’intenzione di andare ben oltre le situazioni locali, individuando un valore collettivo, necessario e urgente di narrazione e di rispetto. Lo Stretto in questa rappresentazione non è dimensione geografica, ma luogo dell’anima”
Tra le installazioni in mostra, “Forme armoniche delle maree”, Technelab, sintetizza i temi del tempo e dell’acqua. L’alternanza dell’alta e della bassa marea in un preciso punto dello Stretto è stata simulata in una colonna riempita con acqua del Mediterraneo. Il movimento è accelerato e, nella relazione con le altre opere presenti in sala, la percezione oscilla tra visione e razionalità.
Magistrale il lavoro di Ninni Donato, Technelab, sul significato politico dell’acqua. Il Mediterraneo è il luogo degli sbarchi, il luogo della morte, linea d’acqua che è anche un cimitero. Un neon, appeso alla volta del corridoio di servizio longitudinale del Forte, dichiara sia la negazione dell’accoglienza sia, nella nuova interpretazione, l’accoglienza. Si tratta di un sottile tubo in vetro lavorato sulla sagoma delle lettere che compongono l’affermazione espressa da Benito Mussolini, durante il suo discorso a Palermo nell’agosto del 1937.
“Qui non sbarcherà mai nessuno”
La soppressione degli avverbi di negazione e di tempo è una suggestiva rappresentazione di come “l’acqua politica” sia confine e connessione, accoglienza ed esclusione. In sottofondo una voce elettronica legge un elenco di 40mila nomi di uomini che non ce l’hanno fatta.
Water, l’opera di Francesco Scialò, Technelab, si concentra sul tema dello sfruttamento dell’acqua – l’imbottigliamento, il packaging e la plastica inquinante -restituiti in un racconto inverso, di ritorno alle fonti, espresse non solo sottoforma di denuncia, ma ammettendo diverse sfumature di pensiero.
Lo spunto è stato il ritrovamento di un tappo di bottiglia dell’acqua minerale nei boschi dell’Aspromonte. Perché bere dell’acqua minerale in un luogo dove esistono tantissime sorgenti di acqua sicura e fresca? il tappo ha scatenato tumultuosi interrogativi sintetizzati in disegni, fotografie, dipinti, grafici realizzati con materiali di scarto e tutte di colore bianco.
Una dimensione parallela, decontestualizzata dal reale, pur restituendone tensioni e situazioni, si realizza in una delle opere di Gianni Brandolino, “Non ricordo più il mio sogno”: erogatori agganciati alle volte a simulare lampadari, l’acqua che si diffonde come fosse luce, fontane aperte sull’incanto delle sirene. Su un piano leggermente inclinato, che quasi simula lo spazio naturale tra la rena e la risacca, l’acqua espande, attraverso il percorso obbligato, una natura (umana) assurda, trascinata dentro vortici e alle prese con ataviche paure. L’opera fa riferimento all’identità di genere; l’immaginario sessuale conferma le fragilità umane. I rubinetti silenti cedono il passo alla virilità e quest’ultima energia, affonda dentro un acquario di figure zoomorfe. Un atto trasgressivo e poetico fatto di mondi vulnerabili e di abissi che si inseguono per riconoscersi e fondersi.
I miti dello Stretto sono stati ampia fonte di suggestione: le presenzi vibranti nella navata del Forte, opere tessili di Lucia Bubilda Nanni, si riferiscono alle narrazioni mediterranee, un ritratto di Maria Egiziaca, monaca ed eremita egiziana; Aquarium, un grande telo che è un intreccio delle rotte diverse dei pesci, e infine Scilla, figura immersa nell’acqua, nata intensamente bella, trasformata in mostro marino.
Non poteva mancare Nicola Tripodi, Arghillà, con l’opera “A menzu u mari” sul mito di Ulisse e della sirena.
Le vibrazioni, il suono dell’acqua sono stati rappresentati nell’opera “Profondo Suono”, con la rappresentazione scenica del canto delle balene e nell’installazione di Filippo Malice ed Enzo Cimino” Mare Nostrum – C’era una volta il mare” in cui evocazioni sonore, olfattive e tattili (il suolo è ricoperto di sabbia) raccontano l’ambiente marino.
Nulla è stato trascurato dal potente sguardo degli artisti: la capacità disgregativa dell’acqua è stata poeticamente rappresentata da Marco Barone, con una scultura in argilla che l’acqua, volontariamente rovesciata dal pubblico, distrugge.
I paesaggi dello Stretto sono stati protagonisti delle opere pittoriche che narrano i luoghi protagonisti di pellicole d’autore ambientate a Reggio Calabria e a Messina, eseguite live da Mariella Siclari.
Silvana Marrapodi ha realizzato un’opera dedicata alla Biennale, vera e propria performance in cui il gesto pittorico è anche rappresentazione scenica.
Durante le prime cinque giornate della Biennale si è tenuto un workshop dal titolo “La ballata dei pesci volanti” organizzato e condotto dai professori Aldo Zucco, Antonino Viola, Barbara Vacalluzzo, cultore della cattedra di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Catania e Grazia Bono del Teatro di figura le Rane. Il progetto, nato dentro l’aula di scenografia dell’Accademia siciliana, si è trasferito all’apertura della Biennale al Forte Batteria Siacci.
Sui corpi dei pesci volanti, creature fra cielo e mare, si sono depositate le memorie di un paesaggio sedimentato tra le vicende delle mura e a ridosso del mito.