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A COSA SERVE LA BELLEZZA NELLO STRETTO DI MESSINA, SPIEGATO BENE DA ANNA MALLAMO

Messina è una città dolente. Talmente dolente che si fatica a vederne la bellezza. A Reggio, la nuova passeggiata con l’opera di Tresoldi, segno di crescita e speranza urbana, incontra la spazzatura abbandonata agli angoli delle strade.
Con Anna Mallamo, giornalista della Gazzetta del Sud, parliamo di visioni a senso unico che chiudono lo Stretto all’angolo, ma anche di un futuro reso possibile dalla sua Bellezza

Fondazione Italia Patria della Bellezza ha lanciato un bando “Comunicare Bellezza”, un programma di sostegno ai progetti culturali e territoriali in tutta Italia, una sorta di messa a terra di un valore storicamente apprezzato nelle sue declinazioni artistiche, ambientali e culturali, ma che non appartiene alla sfera dei bisogni primari individuali e sociali.

Intorno alla parola bellezza si usa un linguaggio denso di stratificazioni prefabbricate.

La bellezza sta nel turismo, nella storia, nel paesaggio, nel design, nella scienza e nella tecnologia, nella manifattura e nel cibo. Nei libri, nella poesia, nella fotografia. Negli uomini, nelle donne, nei bambini e nelle bambine, negli animali e nelle piante.

Quasi sempre è una bellezza aggettivo, un’attribuzione di carattere visivo o intellettuale a un soggetto definito.

Anna Mallamo al talk a Messina, Mediterranei Invisibili 2021, Viaggio sullo Stretto IV. Fotografia di Stefano Anzini.

Anna Mallamo, giornalista della Gazzetta del Sud, reggina di nascita, messinese di adozione, strettese per passione, pensa che la bellezza sia necessaria quanto il cibo, l’acqua e l’aria. Sostanzialmente quanto quello che ci tiene in vita. Anna lo sostiene partendo dagli effetti che provoca il suo contrario: desolazione, degrado, abbandono.

Dice “Il paesaggio è una determinante dell’anima” e pare quasi un’affermazione dovuta, parlando dei luoghi di Scilla e Cariddi. “Mi trovo a combattere quotidianamente con l’oblio che pervade chi vive nello Stretto e causa una cecità progressiva e selettiva: il degrado ha la meglio, si distoglie lo sguardo dal paesaggio, dunque si perde l’anima.

E da quel momento, sei in grado di vedere e raccontare solo il brutto e nel racconto è inclusa una forma di compiacimento del dolore e della tragedia che conduce all’inazione.

La prospettiva si chiude, lo Stretto è un territorio da abbandonare o da subire.”

Anna Mallamo con Alfonso Femia e gli altri partecipanti al talk a Messina, Mediterranei Invisibili 2021, Viaggio sullo Stretto IV. Fotografia di Stefano Anzini.

Futuro e Stretto: come si crea la connessione tra tempo e luogo che pare mancare?

La sola via pare essere quella del ponte sul quale si vagheggia dalla metà del Novecento, mai costruito e questo è già un buon motivo per lamentarsi. Negli ultimi decenni il ponte è diventato “il significato” alla disperata ricerca di un significante collettivo, unico possibile riscatto.

È chiaro che esistono molte altre forme di emancipazione: la passeggiata mare di Reggio Calabria, con l’opera di Tresoldi, ne è un esempio, perché i reggini – non solo i turisti – la apprezzano e la vivono, sostengono le attività commerciali di prossimità, generano ricchezza e lavoro. Anche se, dietro l’angolo, ci sono i cumuli di spazzatura che non viene smaltita e quando dai le spalle al mare, la cortina di edifici che vedi è un tessuto di segni scuciti con cui ti devi misurare ogni giorno.

In passato, Messina è stata una grande città. Ai tempi del terremoto del 1908 era il terzo porto del Mediterraneo. Non voglio fare qui un condensato di storia ma, per esempio, prima del 1908, per nove chilometri, si estendeva, sul lungomare, una Palazzata, una successione di edifici continui, costruita agli inizi dell’Ottocento, meglio conosciuta come Teatro Marino, che accoglieva una serie di funzioni -residenze, silos, magazzini.

Un’architettura d’avanguardia nel pensiero, che prendeva il posto di un’altra Palazzata, di origine molto più antica, danneggiata dal terremoto del 1783.

Alla fine del Settecento, si decise di ricostruire la Palazzata e, in termini generali, tutta la città, conservando l’assetto e l’aspetto precedente, ma dopo il 1908 si fecero scelte diverse.

La Palazzata di Simone Gullì prima del Terremoto del 1783 in un dipinto di Louis François Cassas (fonte, wikipedia).
Palazzata e statua del Nettuno prima del terremoto del 1908.
Palazzata dopo il terremoto del 1908. (fonte, wikipedia).
Palazzata di Messina, progetto di Giuseppe Samonà (fonte, wikipedia).

È pluridecennale, quasi secolare, la mancanza di visione dell’amministrazione messinese. Vent’anni fa, per esempio, la linea del tram è stata realizzata sulla litoranea, nonostante fosse stata individuato un percorso meno invasivo. Si è trattato di una scelta miope, considerando che, negli ultimi decenni, le città costiere si sono impegnate ad abbattere gli ostacoli tra città e mare. Reggio e la sua passeggiata ne sono una dimostrazione, geograficamente vicina. Il tram sulla litoranea ha avvilito ulteriormente una Messina già sofferente.

Il passato di Messina è il suo paesaggio, colline azzerate, colline ricostruite.

I messinesi si muovono tra il ricordo del passato e quello che genera lo sguardo: due memorie che producono un permanente senso di sradicamento.

Prima del 1908 c’era un modo di dire qui a Messina, per indicare uno stato di negatività, “fare più danni del 5 febbraio (giorno del terremoto del 1783). Non è solo un riferimento alla cultura popolare, rappresenta quasi un’evidenza antropologica di come “il danno” subìto abbia offerto ai messinesi il pretesto per non combattere, l’alibi per non reagire, facendo dell’inazione una categoria del vivere. Con il secondo terremoto, ancora di più, l’identità si è persa nei crolli e non c’è desiderio di recuperarla

Quello che è stato costruito – la geometria, le altezza, i materiali degli edifici – agisce sulla sensibilità percettiva delle persone, creando emozioni di positività o disagio quotidiano. Si subisce e ci si abitua agli elementi più disturbanti, alle dissonanze visive, alla mancanza di connessioni tra i brani della città, il verde, il mare.

Questo è accaduto a Messina.

Come funziona per chi resta?

La Restanza, parola efficace nel suono e nel significato, è una scelta complicata e piena di rischi.

Vittorio Teti – antropologo – parla dell’avventura del restare” (al Sud n.d.r.): “la fatica, l’asprezza, la bellezza, l’etica della «restanza» – non è meno decisiva e fondante dell’avventura del viaggiare. Le due avventure sono complementari, vanno colte e narrate insieme”.

Il rischio è quello dell’assuefazione, della mancanza di visione fino ad arrivare alla cecità totale.

Creare una condizione culturale che costringa gli strettesi a guardare lo Stretto – conoscerlo e riconoscerlo – significa progettare un intervento culturale radicale, attivatore di un processo di rivitalizzazione continuo, non episodico, finalmente risolutore.

La capacità di vedere la bellezza dello Stretto, di Messina, di Reggio va sollecitata di continuo, perché è da troppo tempo soffocata non solo dal suo contrario, il brutto stratificato, ma ancora di più dall’inazione.

I costruttori di bellezza – scrittori, artisti, architetti – provano a dare dei colpi di frusta per riassestare lo sguardo dei loro conterranei, per rivelare l’immateriale a chi osserva da lontano, affascinato dalle leggende, timoroso di restare deluso.

Come ha fatto Nadia Terranova nel libro Addio Fantasmi e nella graphic novel Caravaggio e la ragazza (in tandem con Lelio Bonaccorso), con bellissimi disegni di Messina.

Isabella al balcone (dal libro illustrato Caravaggio e la ragazza di Nadia Terranova e Lelio Bonaccorso. Disegno di Lelio Bonaccorso)

Tornando al punto da cui è partita questa riflessione e alla domanda – come funziona per chi resta – la necessità della bellezza deve trovare una sintesi con l’economia.

L’architettura è, potenzialmente, uno degli elementi di equilibrio e conciliazione: innesta ex novo e integra le funzioni del vivere in contesti urbani di buona qualità formale in dialogo permanente con il costruito del passato e con l’ambiente naturale.

Sotto il profilo naturalistico, lo Stretto è una miniera d’oro da mettere a reddito, possibilmente non (solo) con la logica del “turismo da mungitura”, assegnando una manciata di metri quadrati di litorale a turisti assetati di sole e mare, sul modello B-movie.

Non è questo che serve agli Strettesi. Ci sono alternative che possono essere messe in campo per un turismo in cui la spiaggia sia pausa, non obiettivo: per esempio percorsi territoriali, percorsi sulla traccia delle residenze di artisti, escursioni naturalistiche ….

Questa bellezza celata, che già esiste, è diventata invisibile perché è stata mortificata da altre scelte che lo Stretto – Messina, ma anche Reggio – ha inflitto a se stesso.

Quello che emerge è l’abusivismo e una bruttezza mostruosa. Persino l’abitare ha una dimensione misera. La pervasiva speculazione ha generato un senso del possesso senza bellezza.

Ci sono, fortunatamente, molti progetti in corso …

Qualcosa è stato fatto, ma molte cose sono state lasciate a metà o interrotte. Ci sono ancora chilometri di costa da recuperare. Manca una visione politica ed economica. Quando una giunta è concentrata a difendere se stessa, non si impegna in opere importanti, ma nel rassicurare l’elettorato nel breve.

Il lavoro manca, il lavoro è priorità.

Deve essere così.

Ma “il lavoro” non è una categoria isolata. È la progettualità in settori diversi che produce lavoro. Gli strettesi hanno una miope ossessione sul “ponte” come generatore di occupazione per anni a venire, prima ancora che come elemento di connessione.

Senza considerare che oggi, in una logica di transizione ecologica, si tratterebbe, forse, di una scelta depauperante per i territori.

Con la costruzione del ponte aumenterebbe il traffico sia dei veicoli pesanti, sia dei veicoli leggeri, una visione ancorata al passato, mentre le linee guida del Green Deal europeo impongono di ridurre il trasporto su gomma.

Manca l’elaborazione culturale per qualsiasi scelta di futuro che, come conseguenza, si affievolisce sempre di più, perché non esistono le condizioni di una “restanza” serena. Le giovani generazioni non sono messe nella condizione di amare i loro luoghi.

Le acque del lago di Ganzirri a pochi chilometri dal centro di Messina sono in comunicazione con il mare adiacente per mezzo di canali, alcuni risalgono agli anni Trenta dell’Ottocento e con il lago di Faro più a nord.(fonte: archeome.it)

Cosa pensi del tema della conurbazione tra Reggio e Messina? Ci sono rischi di forzature?

Gli strettesi condividono il sistema ecologico e paesaggistico dello Stretto, ma da punti di vista differenti. Da Messina, per esempio, vediamo Villa San Giovanni, non Reggio.

La Sicilia è un’isola, Reggio sta in una penisola. Gli approcci sono diversi, ma questa eterogeneità è un valore da conservare.

L’ecosistema dello Stretto è un patrimonio incredibile da osservare, comprendere, conservare.

È importante non trascurare l’obiettivo e formulare buoni progetti per un territorio avvilito.

Per attirare il capitale, abbiamo così tanta cultura, memoria, bellezza ed è questo che importa.

Molta della bellezza dello Stretto sta più nei borghi che nella città. In che misura è immaginabile un sistema borghi?

Il progetto di una relazione tra borghi e città, sviluppato sulle infrastrutture fisiche e su quella digitale, sulla messa in sicurezza dai rischi idrici, ha grandi potenzialità. Sotto il profilo economico è la dimostrazione che la bellezza del territorio può creare ricchezza stabile, indipendente dalla stagionalità turistica.

Le città più marginali, come Messina, possono dire molto su un possibile binomio borghi-città, non come scelta alternativa, borghi o città, ma come sistema di relazioni che si attiva a scale differenti per distanza e tempo.

È fondamentale partire dalle realtà culturali che amplificano le specificità del territorio in modo attivo e concreto e rappresentano il bello che avanza.

Anna Mallamo, “strettese” (reggina, vive a Messina da molti anni), lavora come giornalista alla Gazzetta del Sud, dove dirige il settore Cultura e spettacoli. Ha tenuto una rubrica fissa per alcuni anni su “L’Unità” e ha un blog sull’Huffington Post. È molto attiva sui social, con l’account @manginobrioches.

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MESSINA STA AL CENTRO DELL’AREA DELLO STRETTO, IN UNA SEPARATEZZA POLITICA E REGIONALE CHE CONTRADDICE LA NATURALE TENSIONE GEOGRAFICA E CULTURALE DEL TERRITORIO. SALVATORE MONDELLO RACCONTA COME FUNZIONA LA CITTÀ, CON UNO SGUARDO ALL’EUROPA

Abitare e muoversi. Il sistema portuale e il sistema idrico. L’identità. Secondo Salvatore Mondello – assessore alle Infrastrutture e ai Lavori Pubblici (con molte deleghe) – emergenze, urgenze, potenzialità e sviluppo di Messina e di tutta l’area dello Stretto stanno nella soluzione di queste cinque condizioni.

Andare oltre quello che si vede, comprendere la vulnerabilità e la complessità di un territorio che è stato meta dei più grandi viaggiatori della letteratura europea e mondiale e che oggi fatica a riappropriarsi di una dimensione alla scala nazionale ed europea: Mediterranei Invisibili alla IV edizione del Viaggio nello Stretto condivide questa riflessione con Salvatore Mondello.

Lo Stretto di Messina è un magnete, lo è stato nel tempo, è una cerniera di straordinaria bellezza naturalistica. – esordisce Mondello -Tutti i viaggiatori storici sono stati affascinati dallo Stretto. Si tratta solo di riaccendere i fari.

Quali sono le strategie reali per “riaccendere i fari” sulla città?

Spiega Mondello che la città si estende per 32 chilometri, da una parte verso il lembo territoriale dello Stretto, dall’altro verso il brano collinare alle sue spalle. È al centro di un’area vasta anche se, sul fronte ionico calabrese, la conurbazione con Reggio Calabria e Villa San Giovanni non è mai diventata realtà, nonostante la configurazione geografica.

Per Gesualdo Bufalino “… la Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli tra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, tra le temperie del sentimento e le canicole della passione” (nel libro “Cento Sicilie”).

Mondello trasferisce il pensiero dalla scala insulare a quella urbana: Messina è cerniera del Mediterraneo sia per la portualità, sia per la sua posizione. È un contesto territoriale (simile a quello di Genova), che abbraccia identità anche molto differenti.

Da sinistra, Giorgio Tartaro, Salvatore Mondello e Alfonso Femia. Mediterranei Invisibili 2021, Viaggio sullo Stretto IV. Fotografia di Stefano Anzini.

E proprio l’identità è argomento di rappresentazione culturale dello Stretto e, in questo momento, di un’attualità politica che rivela fragilità e contraddizioni della città.
La regione Sicilia ha, infatti, accolto la richiesta di tredici frazioni del messinese di indire un referendum indipendentista. L’aspirazione è quella di creare un nuovo comune, denominato Montemare, autonomo rispetto alla città di Messina. Si tratta della porzione territoriale che sta a nord della città, dove sono insediati i villaggi collinari.
Mondello spiega che separare le amministrazioni rappresenterebbe un appesantimento gestionale e, pur nel rispetto delle specificità identitarie – che già in passato hanno creato situazioni simili, in altra parte della Sicilia – è la cultura territoriale, storica, architettonica, paesaggistica a rappresentare connessioni e diversità, in una parola l’identità, non certo un governo separato.

L’eterogeneità è la trama di riferimento che inquadra tutta la città di Messina, citando Nadia TerranovaL’unicità del messinese è data dalle sue differenze”.

Secondo Mondello è fondamentale, proprio al fine di riaccendere i fari, sfruttare le connessioni naturali che esistono: Reggio Calabria e Messina sono prima che calabrese e siciliana, città dello Stretto. La conurbazione trova significato nelle relazioni sociali, culturali ed economiche tra le due realtà territoriali, anche se ancora non sono state sviluppate strategie comuni.

La mobilità sta al centro dello sviluppo e si auspica una sinergia di intenti con Reggio Calabria per una gestione univoca e coordinata dello Stretto, indipendentemente dal ponte sullo Stretto che è tema quasi più europeo che locale.
Per questo, nel PUMS, Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, elaborato in ultima versione nell’agosto di quest’anno, si parla di “Metropolitana del Mare” tra le due sponde dello Stretto di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni da una parte e Messina dall’altra, attraverso servizi di trasporto marittimo veloce che consentano la circolazione tra le città. Il lavoro si orienta verso la costruzione di una griglia strutturale sul piano urbano ed extraurbano. La città di Messina e la città metropolitana hanno un unico sindaco e questo contribuisce allo sviluppo progettuale in una scala più ampia.

Spegnere, dopo più di 100 anni, le luci sulla questione delle baracche è un passaggio obbligato per poi riaccenderle sulle positività urbane: dal degrado alla qualità dell’abitare.
Il terremoto di Messina devastò il 90 per cento della città. Successivamente vennero costruite baracche temporanee che si trasformarono in permanenti alloggi di fortuna. Ora sono cominciate le demolizioni e sono in corso di definizione le opere di urbanizzazione e un nuovo standard urbanistico.

L’acqua è l’altro grande tema che condurrà Messina al traguardo di città europea.
Fondamentale ricostruire la relazione tra Messina e il suo porto. Il lavoro condiviso con l’Autorità di Sistema Portuale che gestisce Messina, Reggio Calabria, Milazzo e Villa San Giovanni segnerà un importante sviluppo urbanistico per la città.
In fase di potenziamento il porto Tremestieri sarà in grado di accogliere ben sette traghetti, sviluppandosi verso sud con un molo di sopraflutto (esposto ai venti) da 320 metri lineari e un’area di stoccaggio da 34mila metri quadri.
Il nuovo porto consentirà di liberare dal traffico traghetti la Rada di San Francesco che potrà diventare un porto turistico. In questo modo si garantirà la percorribilità dello Stretto e si ricostituirà, grazie alla rifunzionalizzazione della Rada, la connessione tra il mare e la zona centrale della città.

L’accesso all’acqua pubblica, la depurazione e lo smaltimento delle acque reflue – l’efficienza del sistema idrico – è l’altro grande tema di riscatto dello Stretto.
La Sicilia disperde il 50,5 per cento di acqua dalle reti idriche. L’emergenza idrica ha creato, in passato, problemi anche molto gravi. È in corso un processo di razionalizzazione dell’impianto generale con sistemi di telecontrollo della rete idrica.
L’acquedotto di Fiumefreddo è la maggiore risorsa idrica si cui può disporre la rete messinese. Le fiumare siciliane, così come quelle calabresi, hanno carattere impulsivo, sono una presenza estemporanea e breve per motivazioni morfologiche. D’acqua, che può essere raccolta in serbatoi per l’accumulo, sono ricche anche le colline. L’Amministrazione comunale e Amam, l’Azienda Meridionale Acqua Messina stanno collaborando per la messa a punto di interventi strutturali risolutivi.

La vista della Madonna della Lettera di Messina dalla Cittadella fieristica. Fotografia di Stefano Anzini.

Mondello sottolinea come il cambio di passo della città dipenda sia dalle politiche abitative e territoriali, sia dal modo in cui si guarda alla città e come quest’ultimo punto sia fondamentale per la sua trasformazione.
Nel corso della sua storia Messina ha avuto momenti di sviluppo significativo (anni Settanta e Ottanta del Novecento) e fasi di rallentamento.
Oggi è necessario ragionare sulla qualità e pensare a un’urbanizzazione coerente con lo sviluppo della città, nel modo più opportuno possibile. Questo significa che la programmazione deve essere proiettiva, escludere gli interventi spot ed esprimere piani che vadano oltre le scansioni temporali amministrative.
È sicuramente fondamentale la conservazione del patrimonio culturale e identitario, ma è altrettanto essenziale pensare a Messina come a una città europea.
“Non è questo uno slogan, se amministratori e cittadini, intellettuali, scrittori, giornalisti, artisti cambiano il modo di considerare la città, la città cambia”.

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UN MARE CHE SA UNIRE SENZA PONTI. NADIA TERRANOVA RACCONTA LO STRETTO

Parte dall’immateriale, Nadia Terranova, dall’intima connessione percettiva tra l’andata e il ritorno, talmente forte da non sapere più quale sia la direzione del viaggio.

In un’intervista rilasciata qualche anno fa a Maria Stefania D’Angelo per Sicilianpost, in occasione della pubblicazione del suo libro “Addio Fantasmi”, Nadia Terranova parla di Messina, luogo in cui la storia è ambientata, sua città di nascita, lasciata per trasferirsi a Roma. “Negli ultimi anni vissuti a Messina – confessa – non andavo più al mare né mangiavo una granita: tutto mi sembrava così scontato. Ora che vivo lontana ho capito quanto io sia messinese fino alle ossa e quanto siano importanti i piccoli dettagli: una passeggiata in città o un tuffo al mare. Sono proprio questi particolari che custodiscono la bellezza della città e pulsano nel cuore dei siciliani espatriati”.

Il contributo di Nadia è particolarmente importante per il progetto di Mediterranei Invisibili che si nutre di osservazione e di ascolto, perché esprime le vibrazioni e le contraddizioni della sua città e dello Stretto attraverso uno sguardo differente che lei stessa definisce “prismatico”.

Nadia sei messinese di origine, vivi a Roma da molti anni. Quanto l’appartenenza a un luogo è data dalla sua fisicità? E cosa significa per te “il ritorno”?

La fisicità di un luogo non è il luogo. Pare una contraddizione in termini, ma ho grandi difficoltà a comprendere quale sia il luogo del ritorno. Torno a casa quando scrivo, non quando ci sono fisicamente.

L’ha detto bene Vincenzo Consolo (scrittore siciliano) “Mi sento come Ulisse in cerca di Itaca. Ormai siamo diventati degli Ulissidi, espropriati della nostra identità e alla ricerca della nostra Itaca. Quando torniamo però Itaca non c’è più; la patria è ormai diventato un luogo interiore. Vedendo la realtà siciliana fatta di ingiustizie ho deciso di spostarmi a Milano. Lo sradicamento (solamente fisico, le mie memorie sono qui) è doloroso, però alla fine necessario. Non è facile ricostruire legami in luoghi che non sono i tuoi. Ma stando qui si fa un danno a sé stessi. Bisogna però tornare e quando si torna si è più forti, forse anche meno vulnerabili, o meglio, meno “ricattabili”.

Cosa significa tornare allo Stretto attraverso la scrittura?

Lo Stretto è davvero un luogo particolare, non dà il senso dell’isola. Quando sei in altre parti della Sicilia, a Palermo, per esempio, puoi sentirti su un’isola, ma sullo Stretto è il mare che connette, unisce le due terre. Senza bisogno di ponti. Tornare nello Stretto, per me, è reinventare il luogo attraverso le parole. Il legame con lo Stretto è talmente forte che quando scendo da Roma a Messina non so se sto andando o tornando.
Lo Stretto ancora soffre per il terremoto del 1908, non è ricordo, ma persistente e dolorosa presenza. .
Tuttavia, la distruzione non ha cancellato la sua storia e quella delle due città, che risale all’origine dei tempi. Ne ha eliminato gli aspetti epidermici, ma non la possibilità della rinascita contenuta nella sua memoria.

“Deve essere stato dopo il terremoto del 1908 che abbiamo smesso di buttare le cose, incapaci per memoria storica di eliminare il vecchio per far posto al nuovo. Dopo il trauma tutto doveva convivere accatastarsi, non si poteva demolire, solo costruire  a dismisura per lo spavento, baracche e palazzine, strade e lampioni. Da un giorno all’altro la città c’era e poi non c’era più e se il disastro era accaduto, poteva accadere di nuovo, infinite volte, allora meglio addestrarsi a tenere insieme. (Nadia Terranova, Addio fantasmi)

È mutevole il carattere dello Stretto: Reggio Calabria ha conservato un forte legame con il mare, Messina ha purtroppo rinunciato alla connessione tra mare e città. Gli strettesi si adagiano tutt’oggi nella storia del terremoto, in una salvifica dimensione mitologica, ascoltando il canto delle Sirene, incrociando le leggende.

Lo sguardo da Reggio Calabria a Messina. Foto © Marco Introini.

La percezione di questo insieme narrativo e paesaggistico è fortissima, crea quasi una regressione, quel “ritorno” di cui la scrittura si appropria e restituisce, più dell’essere nei luoghi.

Quello della conurbazione di Reggio e Messina, di una visione geopolitico economica di una città amplificata è un tema mainstream. Cosa ne pensi?

La provincia di Messina è molto grande, tocca due mari e anche la città di Messina, che pure ha una sua delimitazione precisa, è ricca di sfumature.
L’identità unica è un po’ una forzatura perché ci sono differenze addirittura tra quartiere e quartiere.
Ci sono le periferie da rigenerare e poi ci sono i borghi e i paesini della costa.
Le differenze sono notevoli e i luoghi molto diversi. Ci sono comuni molto importanti, Milazzo, Taormina, Savoca, Castemola, Ficarra con identità originali che derivano dalla grande complessità dell’architettura, della letteratura e dell’arte.
Sulla soglia di confine verso l’Etna è un altro mondo ancora.
E poi ci sono i dialetti segnano fortemente le comunità e le distinguono.
L’unicità del messinese è data dalle sue differenze.
Che senso avrebbe un appiattimento calato dall’alto?
Essere un unico territorio non significa uguale in ogni sua parte.

La “Madonna” della Lettera all’ingresso del porto di Messina. Foto © Marco Introini.

Qual è allora la via per “riscattare” le sofferenze dello Stretto?

Il primo passaggio è quello di cambiare il modo di guardare alla Sicilia.
Prima di scrivere, si osserva.
L’osservazione si alimenta della conoscenza della storia, del passato siciliano, calabrese, strettese.
Serve uno sguardo prismatico
La Sicilia è grande tanto che puoi scordarti di essere su un’isola, ad esempio quando sei a Enna che è il suo “ombelico”.
Serve osservare e valorizzare la bellezza, aggiornandola al presente.

Si era fatta l’ora in cui sulla costa calabrese dall’altra parte del mare si delineano nitide le autostrade e i cavalcavia, mentre di qua Messina si distende per risalire, scende in piccole valli e si apre negli angoli alle scalinate, punta al cielo come fontane e guglie si curva su stessa con cupole catalane e marciapiedi rotte, si affaccia alle finestre sui cortili popolari”. (Nadia Terranova, Addio fantasmi)

L’urbanistica, la composizione architettonica di una città mutano nel tempo, e il concetto di cambiamento, anche di quello che ancora deve venire, è nella storia di ogni città.
L’architettura contemporanea si può innestare nel pensiero futuro dei luoghi, preservando quello che esiste e in armonia con il territorio. La conformità estetica al contesto e all’esistente è una delle possibilità, ma credo che l’emozione della sorpresa sia positiva e la scrittura lo insegna.
Messina attende di cambiare in libertà, senza catenacci.
La salvaguardia dell’ecosistema dello Stretto è l’unico caposaldo, già troppe volte violato.

In apertura: Un enorme traliccio e una piccola barca. La costa di fronte e il molo. Cambi di scala e luoghi differenti in un unico sguardo. Foto di Marco Introini.